Storia di Mereto di Tomba
Mereto di Tomba è un Comune ricco di storia e di tradizioni. Come testimonia la presenza del Castelliere (antica costruzione preistorica utilizzata per la custodia degli animali ed il rifugio degli uomini), il suo territorio fu abitato fin da tempi antichissimi grazie alla vicinanza ad un corso d’acqua (l’attuale torrente Corno) ed in seguito fu colonizzato dai romani. Il toponimo stesso, che appartiene a quella vasta categoria di toponimi in “eto”che risalgono ad una forma latina, ne è testimonianza. Mereto è infatti la forma contratta di “Melareto” o “Melereto” (luogo ove si coltivano le mele). L’aggiunta della specificazione di Tomba, ufficializzata con un decreto regio nel 1931, sta ad indicare proprio la presenza dell’antica tomba preistorica che viene anche ricordata nello stemma del Comune “di nero all’antico tumulo tombale d’argento sulla campagna verde”. Così come per l’epoca preistorica, anche della presenza romana si sono rinvenute numerose testimonianze: spesse volte i contadini, arando i loro campi portano alla luce tracce di pavimentazioni, fibbie, monete, frammenti di serrature, anfore, mentre in alcuni cortili sono ancora presenti urne cinerarie in pietra che nel corso dei secoli sono state utilizzate come abbeveratoi per il bestiame. Il visitatore attento non mancherà di soffermarsi ad ammirare l’antico castelliere (noto agli indigeni con il nome di “tumbare” o “mutare”) e di cui è ancora visibile un tratto dell’avvallamento, alto qualche metro. L’edificio di più antica costruzione tuttora ben conservato, anche se ha subito numerosi rimaneggiamenti è senz’altro la Chiesa dei Santi Daniele e Agostino che trova sede nell’attuale cimitero di Mereto e che si può far risalire al X secolo d.C. Molto probabilmente la Chiesa primordiale fu eretta al momento della costruzione della cortina difensiva che gli abitanti edificarono nell’Alto Medioevo per difendersi dalle incursioni barbariche che devastarono il Friuli. Dapprima consacrata al solo San Daniele, assunse poi la dedicazione a San Agostino in seguito alla presenza in loco dei Padri eremitani di San Agostino.
Il terremoto del 1348, le invasioni turche (sec. XV), le guerre fra Venezia e l’Imperatore d’Austria (1509-1517) ed infine il sisma del 1511, provocarono la distruzione della Chiesa che venne quasi completamente ricostruita nel corso del XVI secolo. Più precisamente il rifacimento che le ha conferito l’attuale aspetto risale al 1537, come si può leggere sulla corda dell’ultima capriata verso il presbiterio. Risale infatti a questo secolo l’ingrandimento del coro, l’affresco del gigantesco S. Cristoforo ancora visibile sul lato esterno, l’acquasantiera opera di ignoto artigiano ed infine le due campane poste sul campanile biforato (detto un tempo la “toresse”), di cui non si ha più traccia. Le attuali campane furono installate nel 1921 a spese dello Stato per sostituire quelle settecentesche asportate nel 1918 dagli Austro-germanici. Sempre al XVI secolo si può far risalire l’icona di S. Urbano, probabilmente di mano dell’artista Domenico da Tolmezzo, posta in un nicchia di muratura e facente parte di un trittico le cui figure laterali rappresentano i Santi Nicolò e Giovanni Battista con al di sopra il Padre Eterno. Gli affreschi sono da attribuire al pennello del cividalese Zuan Paolo Thanner o a qualche altro artista della sua scuola. Nel corso del ‘600 si provvide alla chiusura della porta che dal coro portava alla piccola sacrestia (la quale, ingrandita, ebbe un nuovo accesso) ed alla realizzazione di un affresco a mezza figura di San Paolo rinvenuto nel 1914 a seguito di alcuni lavori di manutenzione. Risale invece al XVIII secolo, ed infatti ricevette la benedizione nel 1744, l’altare di marmo attribuito alla bottega di Simone e Francesco Perioto di Udine. Sito nella parete nord, esso è dedicato a S. Antonio da Padova ai cui lati compaiono le figure di S. Pietro e Giovanni Battista, tutti scolpiti in pietra di Vicenza. Nel 1740 fu completato il rifacimento dell’altare maggiore ad opera di Giovanni Cucchiaro in collaborazione con l’altarista udinese Pietro Giovanni Mattiussi. Ai lati dello stesso sono poste le statue raffiguranti i due santi a cui è intitolata la Chiesa, mentre nella nicchia centrale è collocata la statua lignea della Madonna Addolorata scolpita nel 1925 dall’artista Mansueto Stuffer di Ortisei. Attualmente l’edificio è ben conservata grazie all’intervento di un recente restauro (compiuto fra il 1985 e il 1987) che ha permesso fra l’altro di portare alla luce una colonna romana che fungeva da architrave della facciata, ora conservata all’interno di una bacheca a causa del cattivo stato di conservazione.
La chiesa dei SS. Daniele e Agostino ebbe la funzione di chiesa parrocchiale fino alla costruzione del nuovo edificio di culto, situato lungo la via principale del paese la cui realizzazione risale al 18° secolo. Iniziata nel 1713, la chiesa maggiore di Mereto di Tomba, dedicata a San Michele Arcangelo, simbolo e protettore contro i barbari, il cui culto era stato introdotto dall’Oriente nel V° secolo, subì continui rimaneggiamenti fino ai recentissimi restauri. Autore del progetto della Chiesa fu Gio Maria Alberto della famiglia Bertoli; impresario dell’opera il capomastro Giacomo Roggia. Già nel 1715 la chiesa era coperta e l’anno successivo venne impostato l’altare maggiore. Nonostante numerosi contrasti dovuti a mancanza di contributi al cui versamento la popolazione si era impegnata, malgrado la carenza amministrativa dei camerari, ma soprattutto grazie alle cospicue sovvenzioni dei componenti la notabile famiglia Bertoli, la chiesa poteva dirsi ultimata nel 1739, tanto che il 14 agosto di quell’anno venne effettuato il trasporto del SS. Sacramento dalla chiesa dei Santi Daniele e Agostino che da quel giorno terminò di funzionare quale Chiesa parrocchiale (anche se fu considerata come tale fino al 1780). Nell’interno dell’ampia aula, lungo le pareti si sviluppano quattro altari in vani rientranti; il presbiterio, rialzato di tre gradini, è incorniciato da una solida balaustra in marmo nero carnico applicato nel 1827. Sulle pareti salgono lesene con capitelli in pietra che sostengono la travatura sopra la quale si imposta la volta che un tempo ospitava, al centro, il dipinto dell’Arcangelo San Michele, crollato nel 1877. La prima “via Crucis” commissionata nel 1857, era costituita da 14 quadri dipinti ad olio di autore ignoto, che attualmente è collocata lungo le pareti della chiesa del cimitero (dei Ss. Daniele e Agostino). L’attuale “via Crucis” risale invece al 1865; offerta da 14 parrocchiani il cui nome si ricorda in calce ad ogni stazione, è costituita da 14 forme in marmo bianco scolpite in altorilievo dallo scultore Giovanni Patat detto Giovanni d’Artegna. Le statue originarie dei 12 apostoli, giunte nella chiesa fra il 1750 ed il 1753, erano state ricavate a grandezza naturale da monolitici tronchi d’albero fatti venire dalla Slavonia e concepite con un gusto barocco decadente. A distanza di 200 anni il tarlo e il tempo le avevano rese instabili cosicché, nel 1952, grazie all’offerta generosa di 12 famiglie del paese, il cui cognome è ricordato sui piedistalli, vennero installate nuove statue dei 12 Apostoli scolpiti in pietra tenera di S. Ambrogio di Vicenza dallo scultore Egidio Caldana di Vicenza. Le vecchie statue furono donate al Museo d’arte sacra diocesana, tranne due collocate al Civico museo di Udine. Sono 4 le imponenti statue in marmo dello scultore veneto Giuseppe Bernardi detto “Il Torretti” raffiguranti rispettivamente la Vergine con Bambino (detta “Madonna della Salute”) , i Santi Ermacora e Fortunato e San Michele Arcangelo. Commissionate intorno al 1690 le statue furono compiute indubbiamente prima del 1711. Tre di esse, i S. Ermacora e Fortunato e la Vergine col Bambino, erano destinate alla Basilica di Aquileia, dono del drammaturgo, poeta e canonico Gio. Daniele Bertoli, nato a Mereto di Tomba e ascritto al Capitolato Metropolitano della Basilica di Aquileia. Dissidi ecclesiastici fecero decidere al donatore di destinare le statue all’erigenda Chiesa di S. Michele Arcangelo. Venne così commissionata la quarta statua raffigurante appunto S. Michele ed il gruppo venne in seguito collocato in Chiesa, dove è custodito tuttora. In particolare le statue, ad eccezione di quella della Vergine, sono collocate sull’altare maggiore ricco di marmi pregiati (africano e rosso di Francia) che il canonico Daniele Bertoli ordinò a Venezia nel 1715; l’anno prima si era anche preoccupato di far scolpire i piedistalli per le suddette statue. Lungo le pareti laterali del presbiterio due grandi affreschi contenuti in “suaze delle pitture” rappresentano rispettivamente S. Pietro che consegna il pastorale a S. Ermacora e la decollazione di quest’ultimo. Detti affreschi, eseguiti nel 1747, rovinati da incauti e ripetuti lavaggi, sono opera del pittore Gio Giuseppe Buzzi di San Daniele. Molti arredi del ‘700 o per deperimento o per assurda mania del nuovo sollecitata da procacciatori di antichità, vennero sostituiti nel corso dei secoli. Sono invece tuttora in buono stato di conservazione alcuni paramenti sacri, mentre nella sacrestia si conservano tre quadri ad olio raffiguranti rispettivamente la deposizione della Croce ad opera del Buzzi, la Madonna del Rosario e la Pietà, entrambi di autori ignoti.
La Madonna del Torretti, collocata in un altare minore denominato della “Madonna della salute” era inquadrata originariamente in una cornice settecentesca che in seguito fu sostituita da ornati di stucco in stile liberty. L’attuale composizione ha trovato sistemazione nella Chiesa nel 1936 e proviene dalla Chiesa di San Giacomo in Ragogna che fu demolita in quell’anno. L’altare, in marmo di Carrara, è un’ opera del XVIII secolo che si impone per la sua architettura. Del vecchio altare venne conservato il ciborio sul quale si eleva il piedistallo ove poggia la statua della Madonna. Di fronte a questo si colloca un altro altare detto “del Crocefisso”. Esso fu collocato nella chiesa nel 1747; proveniente dalla bottega degli altaristi Simone e Giovanni Perioto di Udine è realizzato in pietra d’Istria e fu fatto costruire dal canonico Gian Domenico Bertoli. Sul fondo vi sono raffigurati angeli che trasportano la Casa di Loreto. Nel 1946 la mensa dell’altare venne riformata, ma conserva ancora le decorazioni ed il monogramma di Cristo. La struttura architettonica è in marmo bianco e nero: al centro, fra le colonne, è ricavata una nicchia piana che ospita al suo interno il grande crocifisso ligneo che si può far risalire alla prima metà del 1700. A grandezza quasi naturale è opera di un distinto, ma ignoto artista udinese. Ai lati vennero ricavate due custodie per le reliquie, mentre sul timpano posano due angeli che reggono un cartiglio. Il progetto dell’altare è opera del prof. Carlo Someda de Marco, l’esecuzione fu curata dal marmista Pietro Rizzotti. I due restanti altari minori furono acquistati nel 1927 dalla Chiesa della pieve di S. Maria di Rosa a Camino di Codroipo; giunti a Mereto furono ricostruiti con gradini, paliotti e mense dall’altarista Pietro Rizzotti di Artegna. Essi, collocati alla destra e alla sinistra della porta d’ingresso, recano due pale su tela ad olio e raffigurano l’una S. Giovanni Bosco (opera di Fred Pittino e dono alla chiesa del notabile Pietro Someda De Marco) mentre l’altra ostenta la figura di San Giuseppe con il Bambino ed è ambientata in una modesta bottega artigiana. Posto al di sopra del portale d’ingresso, è tutt’oggi funzionante ed in buono stato l’organo che nel 1900 il parroco don Francesco Fanna acquistò dal rettore del seminario di Udine. Eseguito nel 1787 è opera del celebre organista Gaetano Callido. Danneggiato nel 1917-18 durante l’occupazione delle truppe austro-germaniche fu riparato nel 1920, mentre nel 1966 si provvide alla sostituzione del vecchio mantice con motorino. In prossimità dell’acquasantiera, realizzata in marmo nero carnico nel 1739 dallo scultore Giobatta Cucchiaro, sono conservate dal 1973 le spoglie di Concetta Bertoli, la crocifissa di Mereto di Tomba. Nata nel 1908, ancora giovinetta fu colpita da una malattia progressiva, inguaribile e invalidante: l’artrite reumatica deformante. La sua grandezza fu proprio la capacità di accettare consapevolmente il proprio destino trasformando la malattia in dono, in occasione di crescita. Tredici anni dopo la sua morte, avvenuta l’11 marzo 1956, iniziò il processo informativo diocesano per la beatificazione che si concluse nel 1971. Nel 1981 uscì la “positio” contenente tutti gli atti processuali seguita dall’apertura del processo apostolico tuttora in atto. Non distante dalla Chiesa è ancora conservata senza aver subito alcuna modifica, l’umile casa in cui Concetta ha vissuto con le poche cose di cui disponeva ed in particolare la camera in cui trascorse la maggior parte della sua vita. Nell’angolo Nord, a ridosso del muro del coro e della Chiesa parrocchiale era stata costruita nel 1733 la canna del campanile con un castello provvisorio definito “campaniletto”, demolito nel 1749. Negli anni immediatamente seguenti, grazie alla generosità del canonico Gian Domenico Bertoli si diede mano alla costruzione della cupola del campanile (1752), mentre nel 1753 fu benedetta a Udine la campana maggiore. Già nel 1784 la suddetta cupola si dimostrò bisognosa di restauro così come la campana maggiore che nel 1849 e nel 1856 venne rifusa. Ai primi del ‘900 la pericolosità della torre campanaria portò a compiere dei nuovi restauri che però non furono sufficienti cosicché si decise la costruzione dell’attuale campanile che, iniziato nel 1953 fu completato nel 1957. La vecchia torre campanaria fu demolita nel 1963.
Immettendosi in via De Marco, sul lato sinistro della strada si estende la casa che fu dimora della notabile famiglia dei Someda de Marco. La casa, risalente al XVIII secolo presenta una vasta coorte che ospita tuttora importanti manifestazioni culturali (Gnos furlanis) proprio grazie alla suggestione che i suoi ambienti ancora conservano. Il portale d’ingresso, risalente al 1714 è ancora intatto così come il giardino/parco che si estende sul lato di nord-est, verso Udine. Un muro racchiude l’esteso possedimento ora frazionato fra diversi proprietari. Proprio lungo il suddetto muro, sul lato Nord (lungo l’attuale via Trento Trieste) è ancora presente l’edicola, di proprietà della famiglia Someda, in cui un affresco risalente al 1800 raffigura l’Immacolata e i Santi Borromeo e Antonio di Padova (opera del Fabris). Uscendo dall’abitato di Mereto e dirigendosi verso quello di Pantianicco, in corrispondenza dell’incrocio si trova il “Mulin di Marchet” sulla riva di un canale artificiale che porta le acque del Tagliamento e del Ledra a bagnare la pianura. La diffusione del mulino mosso dalla forza idrica si ebbe a partire dall’antichità ed era legata all’esistenza di corsi d’acqua continui, di portata regolare e sufficientemente veloci. Il “Mulin di Marchet”, costruito nel 1881, può a ragione essere considerato un “dinosauro” scampato alle leggi dell’evoluzione economica. Tutt’oggi è sano nelle strutture murarie e gli ingranaggi sono in grado produrre energia elettrica. Attualmente non in uso, ma ben conservato, resta una splendida testimonianza di come si possa produrre energia pulita conservando l’ambiente sano come dimostra il suggestivo paesaggio che circonda la costruzione.
Chiese campestri del Comune di Mereto di Tomba
Così come la chiesa dei SS. Daniele e Agostino, anche quella dedicata a S. Martino nella vicina Savalons sorse probabilmente sui resti di una cortina di cui oggi rimane un piccolo rialzo di circa 50 cm di terra contenuta in un muricciolo in cemento che forma il sagrato della Chiesa. Essa subì numerosi rimaneggiamenti soprattutto fra il 1700 ed il 1800. Indubbiamente preesisteva al 1494 anno in cui venne “riconciliata” dal vescovo di Aquileia, Sebastiano Nassimbeni. All’interno sono degli di nota la croce astile risalente al sec. XVI-XVII, un crocifisso del sec. XVII-XIX e l’altare settecentesco in pietra raffigurante la pietà di S. Martino, opera di Francesco Colussi. Risale infine al 1987 una pala in onore della Madonna collocata nella chiesa in occasione dell’inizio solenne dell’Anno Mariano proclamato da Giovanni Paolo II. Il dipinto ad olio è del pittore Furlano.
Distante poco più di due KM dal capoluogo nella frazione di Tomba si trova poi, eretta in bellissima posizione, la chiesetta campestre di San Rocco. La chiesa fu probabilmente edificata alla fine del ‘400 e rimaneggiata dopo le incursioni dei turchi ed il terremoto del 1511. Attorno all’edificio, specie sul lato di nord-ovest si sono rinvenute macerie romane così come nella campagna circostante. La costruzione rettangolare, senza coro e con travatura a vista, presenta un atrio a capanna aggiunto o ricostruito nel 1818. La monofora campanaria, ricostruita nel secolo XVIII, svetta sul colmo della facciata. La muratura è in sassi, intonacata, mentre la copertura è in coppi. L’interno è spoglio: nel coro vi è un altare ligneo in linea barocca. Dotata di una pala d’altare un tempo attribuita a Pomponio Amalteo (ma oggi ritenuta opera di un seguace del maestro), nel 1970 ne fu privata in seguito ad un furto. La copia ivi presente risale al 1924 ed è stata eseguita dal pittore Giovanni Maria Lendaro: raffigura la Madonna in trono col Bambino ed ai lati i Santi Rocco e Sebastiano. La statua lignea di S. Rocco, riposta in sacrestia, risale agli anni immediatamente precedenti la 2° guerra mondiale. L’acquasantiera in pietra posta al lato destro dell’ingresso risale al XVII secolo, ma si trova in precario stato di conservazione.
Presenta la struttura tipica delle chiesette campestri risalenti al XV-XVI secolo l’edificio di culto dedicato a S. Antonio Abate sito nella frazione di Pantianicco. L’aula è rettangolare con la travatura scoperta: il presbiterio è distinto e di forma quadrata. L’altare, risalente al 1800 è in marmo bianco, di stile barocco, con due colonne a sostegno dell’arco spezzato nella cui nicchia è collocata la statua del Santo con a fianco il tradizionale maialino ed il fuoco nella mano destra. Lungo le pareti sono conservati i segni della consacrazione della chiesa e dei rimaneggiamenti che essa subì nel corso del XVIII (epoca a cui risale anche la monofora campanaria). L’acquasantiera a muro si trova sulla destra entrando; significativa anche, presso la finestra destra della facciata, all’interno, la presenza del vuoto per la cassetta delle elemosine, in uso in diverse chiesette friulane. Sulla parete sinistra, a fianco dell’arco trionfale, si possono ancora vedere degli affreschi devozionali, di fattura semipopolare raffiguranti un santo (forse S. Biagio), la SS. Trinità e S. Floriano. Sulla parete frontale un S. Nicolò in trono è stato attribuito dal Marchetti a Gaspare.